C’era una volta e ci sarà un Mendrisiotto fiducioso

“Io ho un sogno” disse qualcuno che credeva in un mondo più giusto.

“Io ho un sogno” disse qualcuno che credeva in un mondo più giusto. Non avrà centrato l’obiettivo al 100% ma ha permesso passi avanti impensabili prima. Noi abbiamo un sogno per la regione più a sud della Svizzera, per un distretto geograficamente incuneato nella Lombardia e incastrato nei rapporti CH – I. Oggi, per molti, il Mendrisiotto è solo la porta di entrata di decine di migliaia di lavoratori frontalieri e la via delle merci verso nord. Eppure, in un passato recente, la nostra regione è stata al centro di proficui interscambi di frontiera, di commercio, di crescita, tanto da permetterci di passare in pochi anni dalla coltivazione del tabacco ai servizi della e nella piazza finanziaria. Occorre ricordare – soprattutto a chi diffonde quiz sulle targhe delle auto invece di guidare il Paese – che le nostre banche sono nate e diventate grandi grazie ai capitali italiani. Le nostre case, da rustiche che erano, sono migliorate anche grazie alla qualità dei mobilifici della Brianza e dell’artigianato italiano. Certo, non è solo per i riflessi economici della vicina Italia che siamo passati dalle ristrettezze all’abbondanza. Tuttavia, negarne la grande importanza significa mentire a noi stessi. Come quando dimentichiamo che ci facciamo assistere da personale ospedaliero straniero e mettiamo i nostri anziani nelle mani di immigrati, di “taglian” come li chiamerebbe qualcuno, e non solo.


Per decenni i ticinesi hanno preferito alcune professioni ad altre, ed è legittimo. Rimanendo oggettivi, però, occorre riconoscere che, per un lungo periodo, l’alta qualità di vita in Ticino è stata anche determinata dalla disponibilità di manodopera straniera a svolgere attività da noi neglette. Meno costosa, disponibile, necessaria. Certo, e chi lo nega, anche il Ticino è stato ed è tuttora una grande opportunità per gli stranieri che ci lavorano. Negli anni, specialmente il Mendrisiotto ha saputo giovarsi sia degli italiani che venivano nella regione a lavorare, sia di quelli più facoltosi che sceglievano il Ticino per depositare capitali, acquistare gioielli e fare la “spesa svizzera”: benzina, cioccolato, sigarette e via di seguito. Noi ticinesi eravamo avvantaggiati dal tasso di cambio e dal “sistema Svizzera” e, in generale, le due economie e nazionalità interagivano con profitto reciproco. Molte cose sono cambiate, la piazza finanziaria deve reinventarsi (e fa fatica) e tante dinamiche internazionali hanno penalizzato fin troppo la nostra economia. Oggi, ad esempio, la disoccupazione in Ticino è più alta che in Lombardia, ma come siamo arrivati qui? Molti gli errori commessi, quelli di chi – anche liberali! – si sono ostinati a parlare di “casi isolati” riferendosi alle difficoltà del mondo del lavoro, ma, soprattutto, quelli di chi man mano ha gestito il potere politico senza il supporto della forza delle idee e dell’innovazione. Pensateci bene: la crisi finanziaria è del 2008 ma il vento sovranista soffia dai primi anni ’90. Da 30 anni, infatti, settimana dopo settimana, domenica dopo domenica, viene alimentata un’insofferenza verso chi sta oltre la ramina.


Il paradosso è che la destra economica – compresa quella di Lega e UDC – ha spinto proprio quelle dinamiche che gonfiano il frontalierato e, allo stesso tempo, ha demonizzato gli italiani. E perché quest’ultimi dovrebbero ora avere voglia di venire a spendere da noi? La Lombardia è popolata da oltre 10 milioni di abitanti. Avete idea di quanti (pochi) ne basterebbero per riempire i nostri negozi, ristoranti, teatri, sale concerti? Mentre Como, Varese e Milano si rinnovano e si aprono, noi lasciamo che qualcuno chiuda il fronte verso sud e con lui anche il portafoglio di un turismo, anche di giornata, che sarebbe a portata di mano, talmente facile da non sembrar vero.


Il riflesso economico (poca innovazione, molta rendita di posizione, miopia) di questo spirito di chiusura ha fatto aumentare la necessità di frontalieri impiegati in Ticino ma non certo la propensione degli italiani a spendere da noi. Il ripiegamento populista ha avuto come effetto di chiudere fuori anche chi poteva contribuire al benessere della nostra regione. È ora tempo di risollevare la testa, anzi, alzare i pensieri, smettere le molte ipocrisie e troppe arroganze. Per tutto il Ticino la “Great Zurich Area” è importante, per il Mendrisiotto, però, occorre ripartire anche da una “Small Insubria Area”, salvo che la guerra sovranista – della Lega ticinese da una parte e di quella lombarda dall’altra – non finiscano per farci perdere tutte le battaglie: lavoro, innovazione, ambiente, mobilità, solo per citarne alcune. Basta con i proclami vittimistici di pochi a discapito di tutti, è ora di rivendicare una classe politica in grado non di compiangere ma di promuovere il Ticino, di farci ambire ad un posto di rilevo tra Zurigo e Milano. Non sognando un’assurda Montecarlo ticinese, ma investendo sulla competitività del nostro Cantone, non inveendo a turno con i “balivi” di Berna o gli “invasori” da sud ma recuperando quello che una volta si chiamava principio di realtà.


Determinazione, certo, ma anche umiltà e competenza, altro che tweet, altro che sfottò. O mettiamo in campo le nostre donne e uomini migliori o difficilmente verremo presi sul serio per costruire un futuro che sfrutti, invece di mortificarle, le peculiarità della nostra zona.


Natalia Ferrara e Matteo Quadranti, gran consiglieri momò.

Nr. 5 - Opinione Liberale - 14 febbraio 2020